Con il nome generico di Alabastro, si fa riferimento a un tipo di roccia sedimentaria-evaporitica costituita da Solfato di Calcio bi-idrato che risponde alla formula chimica: Ca SO4 2H2O. E’ chiamata anche “Alabastro Gessoso del Volterrano”, per distinguerlo da quello di tipo calcareo ( Alabastro Orientale), meno malleabile con durezza 3-4 nella Scala di Mohs.
In una collocazione geologico temporale, la sua formazione risale al Neozoico (da 27 a 7 milioni di anni fa, periodo in cui andava costituendosi, attraverso movimenti orogenetici la Dorsale Appenninica). Si è formato infatti tramite un processo di sedimentazione e di concentrazione dei Solfati di Calcio, deposti in ambiente sotterraneo da acque marine particolarmente dure, in cui si trovavano disciolti.
Il peso dell’Alabastro gessoso varia da 2200 a 3000kg a metro cubo, a seconda dell’umidità ancora trattenuta nella roccia, mediamente simile a quello del Marmo. Secondo la scala di Mohs, la sua durezza oscilla tra 1,5/2 ed è classificata perciò una pietra tenera e friabile. (Talco durezza 1-Diamante durezza 10).
Esaminato al microscopio l’Alabastro si presenta in cristalli prismatici o masse granulari fibroso-raggianti.
Il suo nome proviene con probabilità dalla antica città egizia di Alabastron, celebre per la fabbricazione di anfore e vasetti destinati alla conservazione dei profumi.
Questa roccia si trova in cave a cielo aperto o in gallerie a una profondità fino a 100 m. Si reperisce per lo più in blocchi compatti di forma ovoidale di svariate dimensioni dai colori che variano dal bianco, al grigio, all’avorio, al giallastro.
Si possono rinvenire cave di Alabastro in Africa Settentrionale, Romania, Francia, Spagna, Inghilterra e Brasile, ma nessuno di questi minerali ha le caratteristiche dell’Alabastro Italiano, soprattutto in riferimento a quello che veniva estratto nella zona del Volterrano, a Pomarance e a Castellina Marittima, molto più puro bianco e trasparente, ritenuto assai pregiato.
Ritroviamo l’utilizzo di questa pietra già nell’antico Egitto, a Creta e a Micene, sfruttato per realizzare vasi funebri, ma anche per rivestire pareti. Nelle basiliche paleocristiane veniva usato in sostituzione del vetro. Secondo alcune teorie di studio, le Piramidi di Giza, sarebbero state originariamente ricoperte di lastre di alabastro bianco per riflettere al meglio la luce lunare.
Cave storiche della Val di Cecina
Ogni cava, che veniva alla luce nelle nostre zone, offriva tipologie di Alabastro di consistenza e di aspetto diverso. Alcuni tipi di pietra potevano portare evidenti segni di inclusioni di argille, ossidi o idrossidi metallici, che ne facevano variare le tonalità di colore e di lucentezza.
Nel volume “I Tesori d’Italia”, ricco trattato del 1874 che descrive la geografia e la topografia di tutte le località del Granducato di Toscana, vengono elencate anche le cave di alabastro attive in quell’epoca, riguardanti la zona di Pomarance e Volterra, descrivendo le caratteristiche e le varietà della pietra estratta.
Cave a Pomarance e relative varietà di alabastro
“Cava di Fontebagni”: Bianco con venature turchine detto comunemente Bardiglio; Agatato biondo cupo venato; Agatato marmorizzato; Agatato nero (presso la cava del Trossa).
“Cava del Pozzo presso Montegemoli”: Bardiglio Giallo
“Cava di Stilano”: Bardiglio Bianco e Giallo
“Cava di Tollena”: Bardiglio Giallo e Bianco e Granito Chiaro
Cave a Volterra e relative varietà di alabastro
“Cava di Gesseri”: Agatato Marmorizzato, Agatato Biondo
“Cava dell’Annunziata”: Agatato Venato Cupo e Agatato Bigio Chiaro Venato
“Cava di Torricello”: Bardiglio e Agatato Scuro
“Cava di Ulignano”: Agatato Trasparente
“Cava di Mommialla”: Agatato Bianco-Giallognolo
“Cava di Scopicci”: Bianco Venato, Giallo Chiaro
“Cava delle Ginestraie”: Bianco Macchiato-Brizzolato
“Cava di Cipollone”: Bianco-Bigio, Agatato Carnicino
Volterra, il suo Alabastro e la sua storia
L’Alabastro di Volterra, fin dal tempo degli Etruschi e dei Romani, veniva prevalentemente lavorato per riprodurre motivi ornamentali e fregi decorativi, apprezzato per la sua duttilità e il suo colore traslucido. Alla fine dei secoli VIII° e VII° a.C. era impiegato dagli Etruschi per la produzione di urne cinerarie e sarcofagi, ricchi di decorazioni raffiguranti immagini del defunto in scene di vita quotidiana. La duttilità della pietra e le sue calde tonalità, che venivano preferite al tufo e alla terracotta, si prestavano a una lavorazione ricca di intagli e basso rilievi, che portarono la città di Volterra a essere considerata un importante centro specializzato in questa produzione.
Raffinati esemplari di urne e altri oggetti sono raccolti nei Musei Vaticani, nel Museo del Louvre a Parigi, nel British Museum a Londra e nel Museo Guarnacci a Volterra, che ospita eccellenti manifatture degli Alabastrai Volterrani fin dall’epoca paleo-etrusca. Tutto veniva realizzato con la pietra proveniente dalle cave di Ulignano e Gesseri che offrivano tonalità più calde, meno venate, con colorazioni opaline tendenti all’avorio.
Dopo l’epoca etrusca e etrusco-romana, a Volterra non si hanno più importanti notizie di lavorazioni in alabastro e non appare altra testimonianza, che qualche traccia medievale che fa ipotizzare una lenta ripresa della produzione, fino al 500 e al 700, quando questa pietra riafferma la sua rinascita, soprattutto con opere di carattere religioso.
Secondo una relazione del Granducato di Toscana, nel 1780 operavano a Volterra, una decina di botteghe artigiane, che videro nascere agli inizi dell’800 l’Officina Inghirami, strutturata come una vera e propria fabbrica con 120 lavoranti e maestri di scultura e decorazione provenienti da tutta Italia. In seguito altre 14 fabbriche e numerose botteghe artigiane, produssero oggetti che andarono ad abbellire corti e palazzi di tutta Europa, mentre mercanti americani e orientali esportavano con i pregevoli oggetti, la fama della città di Volterra.
In seguito con la sinergia del Laboratorio Viti e l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, si svilupparono idee per la realizzazione di manufatti di pregio, importanti pezzi unici, insieme ai famosi Camei dello scultore Funaioli.
Negli anni che videro l’Italia coinvolta nelle due guerre, il mercato dell’alabastro subì un notevole crollo, per riguadagnare in seguito la produzione nel dopo-guerra, fino agli anni 1970/80, con l’esplosione di un vero e proprio boom. Tutto fino a quando prese il sopravvento la richiesta dei prodotti di serie, sicuramente di minor pregio artistico, che portò alla drastica riduzione nelle vendite e di conseguenza anche del numero degli artigiani alabastrai.
Oggi, il mercato dell’Alabastro anche se non costituisce più il settore che predomina sull’economia di Volterra, cerca sempre di rappresentare un elemento importante caratteristico della cultura e della storia della città, che affida la conservazione delle sue tradizioni, alle piccole botteghe artigiane dislocate nel suo centro storico, con la speranza e il compito di valorizzare al meglio questo antico artigianato.
L'Alabastro
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