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In occasione delle nostre passeggiate e delle nostre escursioni, che si svolgono prevalentemente nelle riserve naturali della Val di Cecina, spesso abbiamo modo di toccare diversi luoghi, che un tempo furono teatro di importanti episodi della resistenza. Immancabilmente, quando ci troviamo in questi posti, non possiamo fare a meno di parlarne tra di noi cercando di ricordare qualche episodio particolare, che magari ci è stato raccontato dai nostri nonni o da qualche anziano del paese. Scopriamo con piacere che trovarci fisicamente in quei luoghi, immaginando i bui momenti che li hanno visti protagonisti di tante vicissitudini, ci da un’ emozione profonda ed inaspettata. I numerosi punti del territorio, che per qualche motivo sono legati alla lotta partigiana, ci hanno fatto venire l’idea di elencarli tutti insieme, affiancando ad ognuno storie e aneddoti che li riguardano, affinché queste testimonianze non vadano disperse e dimenticate nell’oblio del tempo. Perciò ci siamo messi a lavoro per cercare notizie dei fatti, non solo sulle molte pubblicazioni già esistenti, ma anche scavando nei ricordi dei nostri vecchi e persino chiedendole, con non poca difficoltà, direttamente ad alcuni dei pochissimi ancora in vita, che furono protagonisti di quei giorni del lontano 1944. Il nostro modesto impegno, libero da inflessioni politiche, vuole solo conservare il ricordo degli episodi e dei luoghi che meritano una rilevanza storica per il nostro territorio, in sintonia con un modo consapevole e cosciente di camminare e di vivere la natura sotto ogni aspetto.
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La Macchia di Berignone
……Elvezio Cerboni, conosciuto in formazione con il nome di Mario, si spostò, per sfuggire alla cattura, nella zona di Berignone, con alcuni uomini e cominciò ad operare e prendere contatti con i locali CLN di Pomarance e Volterra, che in seguito provvidero a inviare uomini e giovani renitenti(….) 1
……Il Cerboni era ospitato nella casa di Pasquino Martignoni al podere Poggiamonti ed era fatto passare come un parente, venditore di bestiame(….) 1
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…..In quel periodo anche alcuni giovani pomarancini di idee antifasciste, si erano buttati alla macchia; tra questi Aroldo Salvadori, Libero Filippi, Dante Fabiani ed altri. Dopo la chiamata alle armi, incitati alla renitenza da Fernando Cavicchioli, componente del CNL locale, furono scortati dal maresciallo Castagnoli e fatti salire sulla corriera per il distretto militare di Pisa. Guidava la Sita il pomarancino Aldo Bardini, collaboratore CNL locale, che fece scendere i giovani, passato il ponte sul Cecina. Si avviarono verso le macchie di Berignone ed in seguito chiesero ospitalità presso un carbonaio che aveva il taglio del bosco in quei luoghi(….)
…..Il luogo ideale per nascondersi era in località Bruciano, vicino a Lanciaia, presso una pineta sopra il Masso delle Fanciulle(….) 1
Aroldo Salvadori, detto ‘Guerra’, racconta:
<<quello fu il luogo di incontro con colui che sapemmo dopo essere Elvezio Cerboni. Un giorno, vedemmo presso la carbonaia quest’uomo, più vecchio di noi, cominciammo a parlare e notai che aveva una rivoltella. Ci disse che stava organizzando con altri un gruppo per combattere i fascisti e di stare tranquilli>>
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…..ancora ‘Guerra’ racconta:
<< Elvezio Cerboni, dopo del tempo, forse nei primi di gennaio ’44 ci disse che avremmo dovuto fabbricare alcuni capanni nella zona di Berignone, domandando chi di noi fosse pratico della zona(….)Io c’ero nato e conoscevo molto bene quel bosco. Con lui e gli altri amici, armati di zappe e palette lasciammo la carbonaia di Bruciano e ci dirigemmo in cima al Poggio di Casinieri. Scelto il luogo egli cominciò a studiare dove mettere le sentinelle, che dovevano controllare le varie vie di accesso. Si vedeva la strada di Gesseri, la Polveriera lungo il Cecina e la via per Monteguidi. Facemmo anche dei viottoli ciechi per potersi salvaguardare da rastrellamenti. Cominciammo a costruire i capanni di scope con l’aiuto di un carbonaio pistoiese. La sera tornavamo alla carbonaia e ai capanni di Bruciano, la mattina dopo di nuovo a lavoro. Con le frasche costruimmo rapazzole alla boscaiola, con al centro il focarile. Il primo capanno poteva ospitare una ventina di persone, dopo qualche mese ne furono nuovamente costruiti altri che servirono per nuovi renitenti soprattutto provenienti da Volterra e Pisa>> (….) 1
Nacquero così i due principali accampamenti della foresta di Berignone, uno ubicato a valle del podere Casinieri, in prossimità del mulino di Bruciano. L’altro invece a monte dello stesso podere, in località Bacii.
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Al Bar del Ciocci
Il gruppo di uomini nella Macchia di Berignone viene aiutato e sostenuto da molte persone. Fondamentale fu, come già detto, la collaborazione con i carbonai e i boscaioli della zona, l’appoggio dei vicini poderi e dei mulini per i rifornimenti di viveri e di pane. Ma in quegli anni tristi di miseria e paura, anche altre persone cercarono con ogni mezzo, di essere d’aiuto a quei ragazzi, visti come simbolo di ribellione e libertà.
Ci piace ricordare un curioso e significativo aneddoto, che lega Carlo Gabellieri ai luoghi di Berignone, che ci ha raccontato personalmente, suo nipote. Il Gabellieri, contadino e boscaiolo di Volterra, nel 1918 ritorna ammalato dalla I^ guerra mondiale, dopo una lunga prigionia in Pomerania, dove aveva avuto modo di imparare a parlare e a capire il tedesco. Da sempre uomo di convinte idee socialiste, assiste con preoccupazione all’evolversi del secondo conflitto bellico. Il suo istinto e la voglia di fare lo avrebbero portato di sicuro insieme ai ragazzi di Berignone, ma la sua avanzata età e le sue condizioni di salute glielo impediscono. Nonostante ciò il ‘Ciocci’, così veniva chiamato Carlo Gabellieri dagli amici, decide ugualmente di volersi rendere utile in qualche modo a quei giovani uomini della resistenza.
Non avendo grandi problemi economici, malgrado i tempi duri della guerra e, sapendo quanto potesse essere importante per quei ragazzi, che vivevano di mille privazioni, concedersi il piacere di un buon bicchiere di vino, Carlo si prende il compito e l’onere di fornire loro, quattro fiaschi di vino ogni settimana. Facilitato dalla sua attività di boscaiolo e profondo conoscitore di quei luoghi, ogni settimana partiva dalla sua casa di Volterra caricandosi sulle spalle i quattro recipienti in un rudimentale trespolo, per dirigersi di buon passo nel cuore della macchia, dove d’accordo con i partigiani depositava il prezioso carico. Per evitare che il traffico fosse scoperto, i contenitori pieni di vino venivano nascosti immergendoli dentro le pozze melmose dove si insogliavano i cinghiali. Il collo dei recipienti veniva fissato ad una cordicella celata a sua volta nel fango del sentiero, che sarebbe servita poi ai partigiani per recuperare il vino. Questo ingegnoso sistema, durò finché gli accampamenti partigiani non vennero spostati sulle Carline. Ogni settimana il Ciocci, trasportava i quattro fiaschi pieni per riprenderne i quattro vuoti riempiti d’acqua e affondati nel fango, da utilizzare nel viaggio successivo. La cosa fu tanto gradita e apprezzata dai ragazzi del bosco che erano soliti chiamare quelle fangose pozze come: ‘Bar del Ciocci! ‘
Ancora oggi a distanza di molti anni, qualche cercatore di funghi che frequenta la zona, magari ignaro del perché, continua a chiamare quei luoghi: Bar del Ciocci!! Questa simpatica storia, apparentemente un po’ bizzarra, ci dimostra quanto a quei tempi e in quelle situazioni, così tante persone fossero disposte a qualsiasi sacrificio, pur di manifestare e sostenere in qualche modo, il proprio ideale di ribellione e di libertà.
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Altro luogo della macchia di Berignone, testimone di episodi legati alla resistenza, fu il ben noto castello dei Vescovi. Verso la fine del mese di marzo infatti, dopo le azioni di Montieri, il Cerboni si ricongiunge con un piccolo gruppo di 12 uomini presso gli accampamenti di Berignone, che erano stati fatti oggetto di rastrellamento da parte dei militi repubblichini e delle SS
.…..Questi infatti, vistisi in pericolo, trovarono scampo verso la Torraccia, mentre i repubblichini cominciarono a sparare con le mitragliatrici. In quel periodo un fortuito incendio di un capanno pieno di munizioni, determinò la scelta di costruirne altri nella zona al di là della Torraccia per sviare le ricerche.(….)1
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L’attacco alla caserma di Montieri
Durante una dimostrazione di protesta della popolazione per l’arresto di due giovani montierini renitenti alla leva, il segretario del locale fascio Lombardi, aveva sparato sulla folla con l’intenzione di disperdere la manifestazione, uccidendo due persone inermi. Al sanguinoso episodio, seguì un’azione partigiana con lo scopo di ristabilire l’ordine, dando un sostegno morale e di vicinanza alla popolazione e cercando di diminuire in qualche modo la potenzialità oppressiva del nemico. Per questa operazione, il ritrovo dei partigiani avvenne alcuni giorni prima nei pressi del conosciuto Castello di Fosini. Furono impiegate tre formazioni partigiane quella del dottor Stoppa, del comandante ‘Mario ’ e parte del distaccamento ‘Velio’; i nuclei originari che alla fine di aprile costituiranno poi la 23^Brigata.
Spada ci dice:
<<<A Montieri c’era una caserma che dava noia alle famiglie, arrestavano, sparavano e allora andarono a dargli una lezione. Io non andai, c’era quattro ragazzi con l’influenza e il comandante mi disse: -Te stai con loro alla Torraccia. Noi si va a Montieri, se vi succede qualcosa noi si ripassa da Prativigna, Faule e Falisei ........ Siccome noi si fu attaccati, si scappò e s’andò alla ricerca della formazione, allora io a questi poderi ci lasciai un biglietto. ‘SIAMO STATI ATTACCATI, CERCASI FORMAZIONE. SPADA’ e poi dissi: -Datilo a quelli che passeranno. Di fatti glielo dettero e ci ritrovarono subito!-
……L’azione venne effettuata nella notte tra il 21 e il 22 di marzo……. Una squadra della formazione ‘Giudo Boscaglia’ cercò il Lombardi, responsabile delle uccisioni del gennaio. Questi mentre stava fuggendo, rimase ferito ma riuscì a dileguarsi nell’oscurità(….) Alla squadra di ‘Velio’ toccò il compito di bloccare la caserma dei carabinieri. La sorpresa mancò; la guarnigione si difese con le armi e con il lancio di bombe a mano. La sparatoria durò a lungo: varie squadre vi parteciparono. Alla fine fu dato l’ordine di ritirarsi (….)2
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La Valle del Possera e San Dalmazio
Un provvidenziale taglio del bosco nei pressi del ponte di Possera, in direzione San Dalmazio, ci ha dato modo di notare i resti di un’antica fornace per la calce, che ci ha incuriosito, durante un’escursione. Abbiamo chiesto informazioni ad un anziano vicino di casa, pratico dei luoghi . Oltre a informarci sull’attività della vecchia fornace, ci ha raccontato anche alcuni episodi, che hanno avuto luogo proprio in quello spiazzo, da lui personalmente vissuti, durante la sua esperienza di partigiano.
Ancora Spada, così era il suo nome di battaglia ci ha raccontato:
<<<Verso i primi del mese di marzo del ’44, dal Comando di Pisa ci mandarono delle armi, delle munizioni, casse di bombe a mano, mitra, moschetti e scarponi robusti, tutto nascosto in un carretto sotto a un carico di cavoli. Ci vollero 3 giorni per arrivare. Verso Ponteginori gli andò in contro Grinza, lo Spinelli, ma il poro cavallo era talmente stanco con tutto quel carico, che si dovettero fermare tutti a dormire a Saline. Ma anche il giorno dopo, quando ripartirono quella povera bestia, non ce la faceva a salire su per le curve del Ponte Torto e fecero venire un altro cavallo, dal Materino. Il buffo fu che arrivati a Pomarance sotto le case Nove, le donne, a vede’ tutto quel ben di Dio, in quei periodi di fame e di miseria, volevano compra’ a tutti i costi qualche cavolo. Per non sentire lo schiamazzo che facevano, gli dettero a ognuna qualcuno di quei cavoli, per poter arrivare in tranquillità fino al ponte di Possera, prima di San Dalmazio, dove s’aveva l’appuntamento. Appena buio si scarico’ tutte le casse che vennero portate nell’accampamento di Casinieri.>>>
Ma lo stesso posto, appena circa 15 giorni dopo, fu anche teatro di un sanguinoso scontro armato tra partigiani e carabinieri alla ricerca di ‘ribelli’, come venivano chiamati i partigiani dai repubblichini. La notizia dello scontro, inviata per espresso dal commissario prefettizio B. Bacci, al capo della Provincia, recitava così:
<<<….ieri 17 marzo, alle ore 7,30 circa, in località Ponte sul Possera, una pattuglia, costituita da 5 carabinieri, è caduta in un’imboscata tesale da un gruppo di ribelli appartenenti ad una banda operante in questa zona. Sono rimasti uccisi 3 carabinieri; un quarto riportava varie ferite. Il locale Comando di presidio della Guardia nazionale repubblicana ha immediatamente disposto per la ricerca dei colpevoli; fino ad ora l’esito di tali operazioni risultava negativo>>>.1
Purtroppo, il 2 aprile, circa di una decina di giorni dopo, anche il paese di San Dalmazio, poco distante dal ponte del Possera, registra un altro triste episodio: l’arresto di Elvezio Cerboni, come ci dice ‘Spada’:
<<…. Cerboni lo presero il 2 di aprile a San Dalmazio, in casa della signora Paolina. Aveva un appuntamento con Maiorelli, una staffetta di Massa. C’era il buono e il cattivo anche lì. Qualcuno gli fece la spia e lo arrestarono.>>
Riguardo al suo arresto, le versioni della vicenda sono diverse e si confondono come in una tragica commedia:
<<….E’ in una fattoria vicino Pomarance, sembra si sia buscato una polmonite…..>> 4 Così scrive Cassola, nel suo romanzo ‘Fausto e Anna’.
Con poche lapidarie righe dattiloscritte, la relazione della 23’ Brigata, datata 2 aprile 1944 riporta questo:
<< Cerboni, caduto ammalato e ricoverato presso una casa colonica di San Dalmazio, viene catturato per la delazione di una spia. Tradotto in carcere a Pisa>>.2
Nei racconti dei nostri anziani invece, la casa da cui Cerboni, cercò invano di sfuggire attraverso i tetti, per evitare la cattura, non sarebbe stata in campagna, ma all’interno del borgo stesso, da identificare con quella della signora Paolina Serafini.
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San Michele alle Formiche
Con l’arresto di Cerboni la formazione ‘Mario’, subì un grave colpo e, data anche la poca sicurezza che offrivano i boschi di Berignone, continuamente oggetto di rastrellamenti nemici, la formazione si divise in due gruppi. Uno costituito in prevalenza da volterrani, l’altro da pomarancini che si spostò verso la Farneta di Monterufoli, con lo scopo di riunirsi con la banda di Stoppa, sulle Carline. Durante il trasferimento, il piccolo gruppo di uomini, capeggiato da Casanovi, fa sosta sul Poggio di Spartacciano, vicino al conosciuto rudere di San Michele alle Formiche. Proprio da qui nascerà la disavventura che porterà all’arresto a alla disfatta del gruppo. Non molto distante da quel luogo, presso il podere Cerale, si trovavano due militi repubblichini e i partigiani senza indugiare, decisero di agire.
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Spada ci racconta:
<<<Noi si salvarono due militi al Cerale, non si toccarono! Si vestirono coi nostri panni e si prese i sua e uno di loro disse: -C’ho un monte d’armi a casa, bombe a mano, mitra, di tutto, se le volete, venite a pigliarle. Partì e andò a pigliarle il Casanovi, con un cavallo e quando arrivò laggiù lo arrestarono perché la casa era piantonata!! E gli dissero che avrebbero ammazzato lui, la moglie e la figliola…..e lui fece chiappà noi!!
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Farneta di Monterufoli e Pian di Creta
Nel frattempo il gruppo dei partigiani decise di spostarsi ancora e lo fece portandosi verso il vicino bosco della Farneta di Monterufoli, lasciando come di consueto un biglietto scritto in un luogo convenuto perché Casanovi al suo ritorno li avesse potuti raggiungere, ma invece…
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Spada racconta ancora:
<<Vestiti in borghese, col fazzoletto rosso arrivarono, là dove s’era noi: -Giorgio, Giorgio, ‘ndo sei? - Urlava il Casanovi al su’ fratello. -Ci sono questi ragazzi, son partigiani!- Poi dice a me che ero al magazzino: -Te dagli da mangiare che è un giorno che non mangiano e queste armi mettetele da parte, come ve lo devo di’che son pericolose!- Noi si mise l’armi tutte insieme e loro ci circondarono. -Alzate le mani questa è polizia!- Ci portarono da Aristeo, ci si lavò un po’, vedrai s’era sudici! C’è chi si fece la barba e chi no…..e poi ci portarono in piazza a Volterra. Ci interrogò il maggiore Marchetti Marino e il capitano Delle Mura Renzo. Ci portarono in galera e ci si stette 72 giorni e poi ci portarono a Pisa. Era il 14 aprile quando ci chiapparono noi, proprio il giorno che bombardavano la polveriera giù in Cecina>>
Il racconto della cattura del gruppo partigiano è riportato su varie pubblicazioni. Il giorno 14 aprile, per non compromettere la sicurezza delle famiglie del podere di Monna che li appoggiava, i partigiani, decisero di spostarsi sul ‘Pian di Creta’, ignari che il gruppo di persone proveniente dalla vallata del Trossa, fossero proprio militi fascisti travestiti.
……..Il gruppo guidato dallo stesso Casanovi fu addirittura invitato a far colazione con loro, nei pressi di una carbonaia e dopo un poco con un accerchiamento rapido e i fucili spianati, i nuovi arrivati si dichiararono fascisti e immobilizzarono i partigiani. Gli unici che riuscirono a fuggire, furono un giovane di Livorno e Libero Filippi, detto ‘del Ministro’, che con grande coraggio si precipitò giù di corsa per un campo verso la macchia(….)1
Racconta Libero:
<<Erano circa le otto e facevo la guardia, distante 50 metri dai compagni. Quando mi accorsi dell’inganno presi un viottolo e arrivato presso uno spiazzo, trovai dei militi fascisti con dei tedeschi che mi puntarono le armi contro; era con me anche un Livornese. Ci fu una violenta sparatoria e un lancio di bombe a mano. Fui ferito da alcune pallottole mentre rotolavo giù per una scarpata piena di rovi(….) Tutti credevano che fossi morto, infatti quando passavano i fascisti repubblichini sotto casa dicevano: ‘Un figliolo del Ministro è in galera, l’altro è tutto mangiato dalle volpi in Farneta’.>>1
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Verso i poggi delle Carline
Causa la scarsità d’acqua da bere , l’inadeguato spazio per ricevere i preziosi lanci degli alleati, gli uomini degli accampamenti del Berignone vengono fatti trasferire verso i più sicuri poggi delle Carline, dove da tempo si era già stabilito un gruppo al comando di Stoppa. La zona scelta era quella di Belcaro, alla sommità del monte accanto alla vicina Cornata, da dove i partigiani potevano avere un agevole controllo su tutta la zona e dove gli alleati potevano con relativa tranquillità, effettuare lanci notturni di rifornimenti.
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I boschi delle Carline ben si presentavano a dare sicuro rifugio al numeroso gruppo di uomini.
L’abbondanza di sorgenti garantiva acqua a sufficienza per tutti e il grande poggio della vicina Cornata, offriva un ottimo punto di avvistamento e di guardia.
Anche il famoso scrittore Carlo Cassola, apparteneva a quel gruppo di giovani ribelli e seguendo il trasferimento dei suoi compagni, si trovò in questi luoghi, proveniente da Berignone.
L’esperienza della guerra, passando giorni nascosto tra boschi sconfinati, la vita fatta di ansia, paura e di generosa solidarietà, segnò talmente l’animo dello scrittore, che negli anni a venire, volle ambientare proprio in quei luoghi, una delle opere, ritenuta tra le più significative della narrativa neorealista.
Nel racconto ‘Fausto e Anna’, sono infatti descritte le vicissitudini autobiografiche del partigiano Fausto a contrasto con la tormentata storia d’amore con Anna. I fatti che si svolgono negli anni della resistenza, raccontano quei luoghi, dove lo scrittore partecipò come ‘Giacomo’, suo nome di battaglia. Luoghi, che vengono ricordati nel romanzo con dei curiosi pseudonimi di fantasia: Il Monte Capanne per le Carline, SanGinesio che sta per Gerfalco e perfino la foresta di Berignone, viene chiamata Monte Voltrajo.
Cassola, talvolta politicamente in contrasto con le ideologie a cui si ispiravano la maggior parte dei partigiani, ha voluto mettere in luce, col suo racconto, uno spaccato della dura vita di quei ragazzi che avevano scelto la resistenza per combattere la loro guerra contro il fascismo. Volutamente ha cercato di dare risalto alla bellezza e alla natura di quei posti, che l’hanno ospitato, protetto e nascosto. Li ha voluti descrivere in maniera minuziosa e appassionata, al punto di farci immedesimare e rivivere quelle tristi vicende.
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Un luogo simbolo delle Carline, da ricordare e che abbiamo raggiunto più volte nei nostri percorsi, è il conosciuto ‘Capanno dei Partigiani’, nascosto nel superbo bosco del versante nord-est delle Carline, vicino al podere Cetinelle. Questo posto, teatro ogni anno di importanti manifestazioni commemorative, racchiude in sé un’atmosfera particolare e suggestiva, che riesce a coinvolgere magicamente ogni visitatore che per la prima volta giunge fino qua.
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Il pianoro boscato che si apre davanti al piccolo capanno in muratura, oggi è un’area attrezzata per il ristoro, con una graziosa fontanella di acqua sorgente. Il capanno è intitolato alla 23^ Brigata Garibaldi e sulla facciata laterale della struttura vi è apposta una targa lapidea, che raffigura volti femminili di donne partigiane, scolpiti in basso rilievo.
Una su tutte, la giovane e coraggiosa Norma Parenti, vera eroina partigiana, animata da un forte carattere e amore per la libertà. Nella sua breve esistenza, mise a rischio la propria vita e si prodigò ad aiutare fuggiaschi, ebrei e prigionieri; a raccogliere aiuti, denari, armi per i partigiani, talvolta partecipando di persona ad azioni di guerra. Venne arrestata la sera del 22 luglio e barbaramente uccisa dai nazisti, a poche ore dall’arrivo degli alleati. E’ stata decorata medaglia d’oro al valor militare. Durante la sosta in questo luogo suggestivo, spostandoci nel bosco antistante tra i maestosi alberi di cerro, si avrà modo di scorgere, dei rudimentali cippi di pietra. Portano inciso il nome di battaglia di alcuni partigiani, i quali per non tradire il legame indissolubile con questo posto, hanno scelto di far disperdere le proprie ceneri in questi boschi che ne costudiranno la memoria nel riposo eterno.
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Il rilascio dei detenuti e il triste epilogo del Comandante Cerboni
Il giorno 20 giugno sotto la furia dei bombardamenti alleati, il gruppo dei partigiani di Berignone, già detenuti a Volterra, vengono trasferiti al carcere di Pisa.
Durante la notte ha inizio una sofferta contrattazione tra il direttore del carcere e le autorità prefettizie, che giunge alla decisione di liberare tutti prigionieri, per motivazioni di sicurezza e di ordine pubblico, dato che il carcere era in rivolta a causa degli incessanti attacchi aerei.
La mattina del giorno 21, vengono fatti uscire in gran fretta tutti i detenuti, ma arrivati in prossimità della porta del carcere, solo uno di loro verrà trattenuto da un drappello di sette tedeschi. Solo uno, uno su tutti, interessava alla milizia e alle SS: Elvezio Cerboni, intrappolato nella trama di una vigliacca decisione rimasta nel mistero.
Il famoso ‘Comandante Mario’, scomodo a molti, colui che col suo carisma e coi suoi modi garbati era riuscito a trascinare e a farsi apprezzare da tutto il suo gruppo, ora viene separato da loro e fatto allontanare fino alla vicina caserma della Milizia per essere barbaramente fucilato.
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….La vita di Elvezio terminò a Pisa, nello squallido cortile di una caserma in via San Francesco. Non sarebbe più riuscito a rivedere la sua famiglia, a vedere una nuova patria più democratica o ad avere la speranza di poter vivere in un’Italia migliore, più solidale, più moderna, come gli aveva insegnato la lezione di Garibaldi e di Mazzini(….)3
Spada, con i suoi compagni di Berignone fu liberato la stessa mattina e ancora oggi ci ricorda con evidente emozione quei drammatici momenti:
<<<…Noi da Volterra ci avevano portato a Pisa. Per la strada ci toccò scendere due o tre volte perché ci mitragliavano. A Pisa c’era un’incursione. C’eran l’apparecchi americani che bombardavano. Sui ponti era un via vai, la gente andava verso l’Alt’ Italia,. C’erano anche i fascisti di Pomarance che andavano e venivano. C’era una confusione per ride. E’ per quello che la mattina dopo ci liberarono, non ci musarono nemmeno: -via, via, via- ci facevano, -via, via- ………era il 21 di giugno….. …..Presero solo il Cerboni, lo fucilarono quel giorno lì, ci s’era anche noi. Io ero più addietro, si sentì il colpo. Gli cascò di mano la fotografia della moglie……ma non l’ho mai detto! Si sentì il colpo! C’era il recinto e al di là si sentì la fucilata! ……..Poi noi si tornò in Berignone.>>
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Un cippo nel Bosco
Nelle nostre molteplici escursioni in terra di Berignone, recentemente, uscendo dal sentiero che dal bosco ci riporta sulla strada bianca, diretta a Dispensa, abbiamo notato sul bordo del crocevia, un cippo commemorativo. Apposto nel luglio 2015 dalla sezione ANPI di Volterra, vuole testimoniare, proprio in quel luogo, la nascita della 23^ Brigata Garibaldi.
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……..Dopo La cattura in Farneta della formazione di Cerboni, si prospettarono da parte dei comandi dei gruppi dislocati in Berignone, accordi per la costituzione di una nuova brigata, che nel frattempo si stava riorganizzando e rafforzando tramite il CNL di Pisa e di Volterra. Il 25 aprile Stoppa si reca in Berignone, dando inizio a una nuova fase di rapporti con altre formazioni, che condurrà alla costituzione della 23^ Brigata Garibaldi(….)1
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Foto di quel tempo
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Si ringrazia
Si ringrazia Jader Spinelli per la gentile disponibilità e le preziose notizie riportate nella sua pubblicazione: “LA LIBERAZIONE A POMARANCE”(Comune Pomarance, ANPI Pomarance, Comunità di Pomarance) da cui abbiamo preso riferimenti ed alcune foto. (1)
Altre pubblicazioni dalle quali abbiamo attinto notizie, reperito e pubblicato alcune foto a solo scopo divulgativo e senza fini di lucro, (i cui diritti appartengono ai rispettivi autori che sentitamente ringraziamo), sono:
“LA TAVOLA DEL PANE” ( Pier Giuseppe Martufi – ed. ANPI Siena) (2)
“LA PICCOLA PATRIA” Storia di Elvezio Cerboni – (Tiziano Arrigoni – Bancarella Ediz) (3)
“FAUSTO E ANNA” (Carlo Cassola -Rizzoli editore) (4)
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Un ringraziamento speciale a Spada
Un ringraziamento particolare lo rivolgiamo ad un anziano amico che da qualche tempo ci ha lasciati, che con i suoi racconti e i suoi ricordi, strappati faticosamente ad una memoria ormai non più lucidissima, ci ha fatto dono di rare testimonianze, preziose e autentiche. Nessuna parola o aggettivo potrà mai descriverne il tono della voce e la commozione dei suoi occhi mentre racconta quegli episodi da cui ancora oggi traspare un’ evidente emozione e sobria fierezza. Grazie per quello che ci hai detto e per come ce lo hai detto, ne faremo prezioso tesoro e ogni volta che ci troveremo a passare in uno dei quei luoghi ricorderemo i tuoi fieri racconti di uomo e di partigiano, che fanno parte della nostra storia.
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