Il Tamaro è una pianta erbacea perenne, sinuosa e rampicante, provvista di una robusta radice carnosa simile a un tubero, ricca di sostanze mucillaginose, da cui in primavera si originano dei fusti eretti simili ai turioni degli asparagi. Con la loro punta incurvata verso il basso tendono ad ancorarsi sugli arbusti vicini, volgendosi sempre dallo stesso lato e prolungandosi fin oltre 4 metri.
Le foglie sono erbacee, di color verde brillante, soprattutto quelle più giovani, alterne, cuoriformi con apice acuminato, portate su lunghi piccioli.
I fiori maschili e femminili sono separati sulla stessa pianta. I maschili in lunghi racemi, con involucro diviso in lobi ampi bianco-giallastri, mentre i femminili hanno l'involucro tubolare che si divide solo in alto in 6 lobi piccolissimi.
I frutti sono bacche carnose di colore rosso brillante lucido, riunite in grappoletti, contenenti all'interno tre piccoli semini rotondeggianti.
Nonostante il tamaro sia una specie tossica, in passato veniva usato l’interno del suo rizoma ridotto in poltiglia, per combattere i reumatismi, rinforzare il cuoio capelluto e ridurre le lentiggini. Però anche solo l' uso esterno della pianta, dato i tannini e altre sostanze tossiche in essa contenute, non deve considerarsi esente da rischi gravi. Le sue bacche sono velenose perfino per gli animali selvatici.
Solo i giovani getti (turioni) del tamaro vengono raccolti e consumati come i comuni asparagi, dopo accurata e lunga cottura.
La parola “Tamus” deriva dal nome latino “Uva Tamina” attribuito ad una pianta rassomigliante a una vite. Viene inoltre chiamata anche Discorea perchè dedicata al medico botanico greco Discoride, vissuto nel I° secolo dopo Cristo. Con l'epiteto 'communis' si sottolinea la diffusione comune della specie.
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