Pianta erbacea annuale comune su tutto il territorio, considerata infestante; probabilmente originaria del Bacino del Mediterraneo e introdotta nel resto dell’Europa, seguendo le colture, fin dalla media età del bronzo.E’ alta da 10 a 40 cm; ha radici fittonanti, fibrose e robuste che si ramificano nel terreno per oltre 10 cm.
Il fusto è generalmente eretto, robusto e cilindrico, talvolta leggermente peloso e rossastro nella parte superiore e contiene un lattice biancastro irritante, presente anche su tutta la pianta.
Le foglie sono alterne, morbide, spatolate e arrotondate verso l’apice che appare finemente seghettato. Hanno un colore verde chiaro brillante, giallastro in cima. Le superiori sono grandi il doppio delle inferiori e lunghe oltre 3 cm.
I fiori sono raccolti in un’infiorescenza chiamata ‘Ciazio’, tipica delle Euforbiacee. Ogni ciazio ha 4 ghiandole ovali giallastre contornate da brattee simili a foglie, che proteggono i fiori interni. Tra le 5 brattee emergono delle ghiandole nettarifere leggermente profumate che attirano gli insetti. Al centro della coppa sono presenti i fiori maschili, ridotti a stami e quelli femminili ridotti a un pistillo con 3 loggette.
Il frutto è costituito da una capsula globosa liscia verdastra, trisolcata, larga fino a 3mm, talvolta arrossata su un lato a completa maturazione. All’interno, le tre logge contengono ognuna un seme ovoidale piuttosto rugoso. A maturazione avvenuta la capsula si apre rumorosamente per far fuoriuscire i semi.
La loro appendice polposa contiene una sostanza oleosa irresistibile per le formiche che li trasporteranno lontano dalla pianta. Un tempo il lattice caustico delle Euforbiacee, veniva applicato sulla pelle per eliminare verruche e callosità ed era pure usato per tatuaggi tribali scarnificanti.
Tutte le Euforbiacee sono specie tossiche in ogni loro parte per il loro liquido lattiginoso e appiccicoso, che risulta essere fortemente caustico e irritante. Deve essere perciò, assolutamente evitato il contatto con la bocca e con gli occhi. La pianta era dedicata a Euphorbus, medico del re Giuba di Mauretania, nel I° secolo a.C., che avrebbe usato, per primo la pianta a scopi curativi.
L’epiteto ‘elioscopia’ formato dalla parola ‘Helios=sole’ e da ‘Scopein’ che vuol dire ‘guardare’. Il nome ‘Calenzuola non ha un’etimologia certa, ma è probabile che prenda riferimento dalla parola sanscrita ‘Kal-As’ che significa ‘emettere suono’ per sottolineare il fatto del rumore emesso dall’aprirsi delle capsule dei frutti.
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