CASTELVECCHIO: TRA LEGGENDA E REALTA’
Nel cuore della Toscana, in mezzo a folti boschi che si estendono per chilometri e chilometri, c’è fra le tante una collina rocciosa, che gole profonde, formate dal letto di due torrenti, isolano dai rilievi circostanti.
La sommità della rupe, appare coperta da vegetazione e macchia inestricabile e vi regna un silenzio profondo, rotto talvolta, dal sibilare del vento che si insinua tra gli alberi e sfiora i dirupi, o dal rumore secco di un ramo che si spezza al passaggio furtivo dei cinghiali, unici abitanti di quel luogo desolato.
Al di sopra delle piante che ammantano la grande propaggine rocciosa, si elevano al cielo due torri diroccate. Una alta e snella, guarda verso la Val d’Elsa, l’altra più bassa e massiccia è situata nella parte occidentale della rupe e si mostra improvvisa, ai pochi viandanti, come una visione di un mondo perduto.
Chi conosce la storia leggendaria di Castelvecchio, considera le torri sentinelle di pietra che vegliano sul sonno eterno di quella che fu, un tempo, l’antemurale di san Gimignano nei confronti della rivale Volterra.
Oggi dell’antica cittadella, rimane la cinta muraria, anche se diroccata, le due torri, un bastione che circonda la più grande, i ruderi di una piccola chiesa, i resti di alcuni edifici e molte pietre ammucchiate qua e là.
La costruzione del ‘Castrum vetus’, o Castelvecchio, venne iniziata probabilmente, in epoca longobarda su di una collina rocciosa dalla cima quasi piatta, posta a un’altezza di trecento metri sul livello del mare, a sette chilometri da San Gimignano e a 20 da Volterra.
La rupe ha pianta ellittica, allungata da nord-ovest a sud-est, ed è bagnata alla base da due torrenti: il botro delle Torri e il Botro della Libaia, i quali provenendo dal Poggio del Cornocchio, circondano la collina per quattro quinti e si riuniscono ad oriente, dalla parte della Val d’Elsa.
Col passare dei millenni, i due corsi d’acqua hanno scavato delle gole profonde nella roccia e il loro letto, spesso in secca, si snoda tra pareti scoscese e frastagliate. In alto, non soltanto sulla rupe, ma anche sulle pendici e sulla cima dei poggi, la vegetazione è fitta e lussureggiante.
…..La rupe ha sui due torrenti, ripidi ed alti strapiombi che la rendevano praticamente irraggiungibile da tutti i lati ad eccezione di quello che guarda il sentiero delle Campore. E di fatti la fortezza, fu sì conquistata due volte, ma non in seguito a una battaglia o a un assedio, bensì con il tradimento e l’inganno. E se venne abbandonata dagli abitanti, la responsabilità non fu dei nemici volterrani, senesi o pisani, ma dell’avversa fortuna e delle circostanze, che avevano ridotto in condizioni miserevoli la “Terra di Castrum vetus”.
Fin dai tempi remoti, il fascino di Castelvecchio e il mistero che lo circonda, contribuirono a far nascere leggende e racconti fantastici tramandati di padre in figlio.
…Tra i ricordi leggendari e romantici c’è il dramma della bellissima principessa, che in tempi remoti viveva nella fortezza con il padre, signore di Castelvecchio.
La ragazza, cresciuta sola senza mamma, parenti o amici, si innamorò perdutamente del primo uomo giovane conosciuto. Era un cavaliere straniero, capitato lì per caso, che il padre della principessa, uomo duro e deciso, non poteva soffrire, vedendo in lui un avventuriero e un cacciatore di dote.
Un giorno con una scusa, lo affrontò nella piazza principale del paese, davanti alla chiesa e, dopo averlo offeso, lo sfidò a duello. Il cavaliere costretto a difendersi, uccise il principe trapassandogli il petto da parte a parte con la spada. L’involontario assassino pianse, si disperò e sostenne di fronte ai castellani di aver agito per legittima difesa, ma venne ugualmente impiccato senza pietà ad un albero e il suo corpo dato in pasto ai cani. La fidanzata, impazzita dal dolore per la morte delle due uniche persone care che aveva, si gettò nel vuoto dall’alto di uno strapiombo ed ancora vaga tra i ruderi in cerca di una pace che non può trovare.