Le Catacombe di Pianosa
Nel 1874 il religioso don Gaetano Chierici, appassionato di archeologia, amico e concittadino di Ponticelli, direttore della colonia penale di Pianosa, soggiornò per un mese nell’isola, dedicandosi alla scoperta e alla documentazione dei siti preistorici presenti. Dopo circa un anno, ritornato nell’isola, riuscì a capire i segreti delle sepolture dell’isolotto della Scola e di Cala Giovanna, riportando alla luce scheletri umani e reperti litici, oggi conservati nei Musei Civici di Reggio Emilia.
Nello stesso anno il Chierici spostò le sue ricerche nella roccia del ‘Seron Vuoto’ in prossimità del promontorio della darsena. Lo spazio scavato nella roccia, era allora utilizzato come cantina e tra tini e botti, il religioso cominciò a notare l’esistenza di tombe vuote e squarciate, da alcune delle quali, sbucavano fuori resti di ossa umane. Seguì il lungo corridoio, al quale se ne incrociavano altri obliqui e irregolari, con cavità aperte di forma rettangolare, originariamente coperte con lastre di pietra o mattoni murati. Negli angoli nella roccia vi erano dei piccoli incavi, dove venivano depositate le lucerne a olio. Il Chierici ritenne che il complesso potesse essere antecedente al IV° secolo e contò circa 500 sepolture.
Ma il sito, da allora continuò ad essere utilizzato come cantina, al di sopra del quale furono costruiti una serie di edifici che utilizzavano i lucernari come discarica di liquami.
Le indagini, estese e minuziose, ripresero solo nel 1993, ad opera della Pontificia Commissione Archeologica Sacra, con una serie di interventi di scavo, di bonifica e di restauro degli antichi cunicoli. I nuovi studi fecero anche ipotizzare che la superficie interessata dal sistema di catacombe, potesse estendersi su 3500 mq, fin sotto il paese e sotto la collinetta.
La fitta rete di catacombe risalenti dal III°, fino all’inizio del V° secolo d.C., venivano utilizzate come luogo di sepoltura dalle prime comunità cristiane, insediate nell’isola per sfuggire alle persecuzioni dei romani. Forse anche attratte dalla fertilità di Pianosa, ricca di acqua e avvantaggiate dalla facilità di scavare sepolture nella friabile arenaria conchiglifera.
Lungo le pareti laterali del vasto intreccio di gallerie, erano disposte sepolture in tre ordini sovrapposti, a differenza di quelle di personaggi importanti che avevano loculi a vasca. In totale ne vennero rilevate circa 700, che accoglievano corpi rannicchiati in posizione fetale per economizzare lo spazio e chiuse con lastre di pietra o mattoni. Sulla copertura vi erano incisi i nomi, con lettere scritte al contrario, come se dovessero essere lette dal defunto. In una parte delle catacombe si trovava anche un ambiente che poteva accogliere più persone, riunite per la celebrazione dei riti sacri.
All’epoca si accedeva alle catacombe da una piccola grotta posta al lato del mare, indicata con un’iscrizione nella roccia che raffigurava il simbolo religioso di una croce grande sovrastata da una fiammella. Poco sotto, una croce più piccola indicava l’accesso al rifugio.
Anche se in seguito è stato violato e depredato dai pirati, maltrattato e rimaneggiato come cantine e discariche, il complesso di catacombe di Pianosa, risulta ugualmente ben conservato e, per dimensione e importanza, è ritenuto il maggiore a Nord di Roma. Sicuramente rimangono ancora da scoprire all’ interno, tanti misteri racchiusi tra le sue rocce di conchiglia.
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