L’ospedale psichiatrico di Volterra nacque nel 1884, quando una parte del Convento di San Girolamo, diventò sede dell’Asilo Ricovero di Mendicità, dove nel 1888 giunsero dal manicomio di Siena i primi alienati. Nel 1900, il padovano professore Luigi Scabia, ne ricevette l’incarico per la direzione, che continuò poi fino al 1934.
Durante questo periodo, le innovative teorie di cura dell’illustre psichiatra si basavano sull’ergoterapia. Ciò significava l’assegnazione di un lavoro al sofferente psichico, compatibile con le sue potenzialità psico-fisiche, in un ottica risocializzante che limitasse quanto più possibile i metodi contenitivi. Cosa che venne positivamente apprezzata nell’ambiente scientifico e cittadino di allora.
Poiché l’ammalato non fosse costretto tra le mura di una stanza, venne edificato un complesso a modello di un ‘manicomio-villaggio’, che diventerà in seguito completamente autonomo. Officina, falegnameria, lavanderia, botteghe per fabbri, elettricisti, ciabattini, compresi un panificio, uno spaccio e un teatro trovarono posto all’interno del complesso, come in un piccolo paese. Venne in seguito realizzata una grande colonia agricola, a pochi km dalla sede centrale dell’ospedale, che comprendeva numerosi poderi e nuove costruzioni. L’estensione delle terre gestite dall’azienda era di 286 ettari nel 1929; che raggiunsero i 545 nel 1937. I ricoverati si cimentavano, non solo come agricoltori e allevatori di ogni tipo di bestiame, ma anche come produttori di latticini e formaggi. Nella grande azienda agricola trovavano spazio allevamenti di bovini, suini, pregiate razze di animali da cortile come oche, polli, tacchini e fagiani. Ai ricoverati provenienti da Imperia, storicamente esperti nella produzione floricola, era riservata la coltivazione dei fiori, che venivano venduti all’esterno dell’ospedale.
Nel villaggio, per un certo periodo venne gestito anche un ufficio postale e una propria moneta, che veniva usata nello spaccio interno.
Nonostante le 40 pubblicazioni scientifiche di Scabia, riguardanti i suoi studi sulla psichiatria, tutte riconosciute di alto valore scientifico a livello mondiale, il declino dell’illustre dottore, forse scomodo al regime politico che si era instaurato, fu inevitabile. Messo d’autorità in pensione, morì dopo pochi mesi, isolato nella sua stanzetta dell’albergo Etruria in Volterra. Per sua volontà fu sepolto nel piccolo cimitero, dove si trovavano seppelliti i poveri dementi abbandonati dalle famiglie.
L’attività del manicomio proseguì tra le varie direzioni che si alternavano, talvolta anche in maniera negativa. La presenza media giornaliera dei degenti raggiunse fino a 4000 unità intorno al 1940 e ciò rese necessario l’ampliamento delle strutture già esistenti. Negli anni dal 1950 al 1953, alcuni ricoverati parteciparono agli scavi nei terreni archeologici di Vallebona e del Teatro Romano.
La grande attività del manicomio, andrà avanti fino al 1978, quando la legge 180, comportò la chiusura sistematica, di tutti gli ospedali psichiatrici d’Italia.
Nel bene e nel male, il grande ospedale psichiatrico di Volterra ha caratterizzato per oltre 70 anni, la vita sociale della città, dando oltre a un’ indiscutibile ricaduta occupazionale ed economica, pregio e notorietà a tutta la comunità, per aver saputo gestire al meglio, una parte scomoda e diversa della nostra società.
|