......La Carrozza si imbarca!
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6.6 km, 03:09:51 |
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Galleria foto 31 immagini
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DESCRIZIONE Durante la stagione calda, per chi come noi ama camminare nella natura tra boschi e sentieri, la canicola estiva e i fastidiosissimi tafani, giocano sicuramente a sfavore. Per nulla scoraggiati, ci siamo inventati di volta in volta nuovi modi di camminare, talvolta immersi nelle refrigeranti acque dei torrenti, talvolta approfittando delle belle e fresche nottate estive. Questa volta abbiamo trovato ancora una nuova alternativa, imbarcandoci con la ‘Carrozza’, alla scoperta delle perle che compongono l’Arcipelago Toscano, vicine a noi e tante volte ammirate dalla cima dei nostri poggi.
"Le perle dell’Arcipelago" Esistono ben due leggende molto simili che ci narrano della nascita dell’Arcipelago Toscano. Una è raccontata da Esiodo, antico poeta greco vissuto nell’VIII° secolo a. C. e l’altra è riportata da Omero, noto autore dell’Iliade e dell’Odissea. Tutte e due sono legate a Venere, dea dell’amore e della bellezza. Racconta Omero di una mattina in cui la bella Venere, venne chiamata dal padre proprio mentre si accingeva ad indossare una collana di perle regalatale da Adone. Per la fretta di agganciarlo, il prezioso monile le sfuggì dalle mani e cadendo dall’Olimpo, andò a precipitare proprio nel tratto di mare che dal monte Argentario si apre fino a Livorno. Alcune delle perle che componevano la collana si fermarono per incanto sulla superficie delle acque marine e si tramutarono nelle 7 meravigliose isole che formano il nostro Arcipelago: Elba, Capraia, Gorgona, Pianosa, Giglio, Montecristo e Giannutri.
La prima isola destinata a questo nostro nuovo e ambizioso progetto, sarà per pura casualità l’isola di Pianosa, una delle piccole perle che formano l’Arcipelago Toscano. Con i suoi 1000 ettari di superficie, ha un curioso perimetro a forma di bistecca che sfiora appena i 20 km, mentre il punto più alto non arriva a 30 metri. Dato che la visita dell’isola richiede particolari procedure, eccezionalmente questa volta abbiamo deciso di appoggiarci, dal punto di vista organizzativo, ad una struttura di guide turistiche. Per raggiungere l’isola occorre prenotarsi per tempo, presso la compagnia di navigazione ‘Aquavision’ e poter effettuare la traversata nei giorni indicati, imbarcandosi da San Vincenzo o da Piombino. Noi abbiamo scelto di partire da Piombino giungendo al molo d’imbarco mezz’ora prima dell’orario di partenza. Sul battello stesso, se non l’avessimo potuto fare prima, sarà possibile affidarsi al supporto di una guida turistica per poter visitare Pianosa, in quanto sull’isola, sottoposta dal 2005 a vincolo archeologico, non è permesso spostarsi in autonomia. La nostra guida, ci ha illustrato fin dallo sbarco, alcune peculiarità storiche di Pianosa, informandoci anche sui divieti e le restrizioni da osservare durante la nostra permanenza. Ci siamo così incamminati, lasciando il piccolo approdo, su una leggera salita che lambisce il Forte Teglia, la più antica struttura del paese, a guardia dell’insenatura e a difesa dell’isola, voluta da Napoleone durante la sua prigionia elbana. Si prosegue sulla via principale tra le sagome delle abitazioni silenziose e fatiscenti che si affacciano sulla strada, in direzione della vecchia casa di reclusione. L’ ambiente è surreale, senza auto, senza rumori, senza tempo. Gli edifici ottocenteschi, benché un po’ traballanti, rispecchiano ugualmente nella loro suntuosità, il gusto eclettico e versatile del cavalier Leopoldo Ponticelli, uno dei primi direttori della Colonia Agricola. La sua cultura e la sua ambizione, hanno segnato l’architettura del piccolo borgo, con un tocco di armonia che lo fa sembrare molto più antico, per gli accostamenti di gusto medievale, mescolati a richiami rinascimentali e orientaleggianti, presenti negli edifici che si susseguono nella via. Mentre sulla dx sfila l’ imponente residenza dell’Agronomo, sul lato opposto della strada possiamo già intravedere la bella spiaggia bianca di Cala Giovanna, unico posto di tutta l’isola dove è concessa la balneazione. Passando sotto un varco di intonaco scolorito, ci introduciamo all’interno del perimetro delle mura del vecchio carcere, dopo aver oltrepassato il cancello semichiuso e la guardiola abbandonata, all’inizio del grande muro di cemento armato. Questa barriera, che isolava l’area del carcere dal resto del paese e dell’isola fu innalzata per volere del generale Alberto Dalla Chiesa, quando la colonia fu trasformata in carcere di massima sicurezza. ((Il carcere di Pianosa nacque nel 1856 per volere del duca Leopoldo di Toscana, come colonia penale. Ritenuto carcere modello, ospitava detenuti per reati comuni, che venivano ammessi al lavoro esterno nella rigogliosa campagna circostante. Con l’agricoltura e l’allevamento di ogni tipo di bestiame, il penitenziario di Pianosa, non solo era autosufficiente, ma poteva esportare i suoi prodotti, sulle isole vicine e sul continente. E’ stato presente sull’isola anche un laboratorio batteriologico, un ospedale e un sanatorio, dove grazie al favorevole clima marino, venivano curati i detenuti ammalati di tbc. In seguito, durante il periodo fascista, Pianosa divenne carcere per perseguitati politici e dal 1931 al 1935 vi fu detenuto anche l’amatissimo Sandro Pertini, che ha lasciato sull’isola i suoi aneddoti, i suoi pensieri e suoi scritti inneggianti alla libertà. Nel 1968, la vecchia colonia penale agricola, venne trasformata in istituto di massima sicurezza, fino alla chiusura avvenuta nel 2009, che causò l’abbandono di tutta la comunità di persone che viveva sull’isola)). Proseguiamo oltre gli edifici e le diramazioni del carcere, costeggiando un lungo muro di chiare pietre calcaree conchiglifere, dove ogni tanto spuntano rigogliose piante di capperi. Attraverso la pianeggiante campagna, arriveremo fino a un vecchio allevamento chiamato ‘Pollaio razionale’, allora considerato uno dei più grandi d’Europa. Oggi al suo posto vi è uno spazio utilizzato per coltivazioni biologiche di frutta, verdura e soprattutto di peperoncini piccanti. Tutto ciò viene gestito dalla comunità San Giacomo di porto Azzurro, costituita da detenuti ammessi al lavoro sull’Isola, che si occupano di agricoltura, di piccole manutenzioni e del supporto dei mezzi per le passeggiate dei visitatori. Voltiamo sulla sx, lungo una strada bianca abbagliante che costeggia vasti spazi aperti e stepposi, una volta coltivati a viti, olivi e destinati ai pascoli. Ogni tanto, curatissimi muretti a secco si succedono a cespuglieti di macchia mediterranea e a piccole pinete di Pino d’Aleppo, caratteristico su tutta l’isola. Piacevole è l’alternarsi del Lentisco, del Rosmarino selvatico e del Ginepro fenicio, che lasciano spazio a straordinarie fioriture di Scille marine e dell’endemico Limonio di Pianosa, che punteggia gli scogli e le radure sabbiose. Ancora per un breve tratto, fino a intravedere all’improvviso di fronte a noi, l’azzurro cristallino del mare che lambisce la bella scogliera di Cala del Bruciato. Da qui, voltando leggermente a sx, sarà un susseguirsi di imponenti scogli e piccole rade sabbiose tra il verde della macchia mediterranea e i piccoli viottoli dove affiorano i resti di conchiglie fossilizzate nelle rocce sedimentarie. All’orizzonte, il profilo dell’isola di Montecristo, ci accompagna durante tutto il percorso. Per breve tempo, ci allontaniamo leggermente dalla riva del mare e attraversiamo una pineta formata quasi esclusivamente da Pino d’Aleppo, fino a intravedere di nuovo l’isolotto della ‘Scola’ e il solito susseguirsi di scogliere lambite dall’acqua color smeraldo. L’isolotto che misura circa 34 m di altezza, è il punto più alto dell’isola e fu abitato dall’uomo fin dalla preistoria. Proseguendo ancora tra le suggestive scogliere, notiamo due Marangoni col ciuffo, che si asciugano appollaiati al sole.Giunti di nuovo alle mura perimetrali del carcere, chiediamo alla nostra guida di poter visitare i resti della villa romana di Agrippa e per raggiungerla ci incamminiamo a ridosso del muro ‘Dalla Chiesa’, costeggiando la bella spiaggia bianca di Cala Giovanna. ((Agrippa detto Postumo, in quanto nato dopo la morte del padre, era figlio di Giulia Maggiore (figlia di Augusto) e di Marco Vipsiano Agrippa. Adottato dal nonno Ottaviano Augusto, fu forzatamente esiliato a Pianosa, quando questi si sposò in seconde nozze con Livia, che con lo scopo di aprir la strada dell’ambita successione al proprio figlio Tiberio Nerone, accusò ingiustamente Agrippa di dissolutezza, omosessualità e violenza. L’esilio non fu molto duro per Agrippa, circondato sull’isola, da amici e da alcuni familiari che condividevano con lui spettacoli e intrattenimenti nella bella e grande villa termale vicino al mare, di cui rimangono numerosi resti. Augusto cercava di occuparsi ugualmente del nipote Agrippa, raggiungendolo personalmente ogni tanto sull’isola, fino a che la perfida moglie Livia, temendo per la realizzazione dei suoi piani di potere, inviò di nascosto un sicario a Pianosa e fece sopprimere Agrippa, nel 14 d.C.)). Dopo la doverosa visita ai ruderi romani della villa di Agrippa, ci riportiamo di nuovo fino alla fine del muro del carcere e ci incamminiamo verso la spiaggia, per concederci uno spuntino e un bagno tra le limpide acque color turchese tropicale, popolate da occhiate, saraghi, triglie e da inquietanti branchi di innocui, piccoli barracuda. Nel tempo che ci rimane, prima della partenza del battello, ci spostiamo di nuovo nel borgo, proprio di fronte al forte che sovrasta lo specchio d’acqua di Cala dei Turchi. Oltrepassato un cancello di ferro, che dà accesso a un palazzo ottocentesco, inizieremo l’interessante visita, guidata da Carlo, uno dei pochissimi residenti di Pianosa, che ci illustrerà magistralmente il sepolcreto paleocristiano che costituisce uno dei più affascinanti ritrovamenti dell’isola.(Approf.) Terminata l’interessante visita, ci incamminiamo di nuovo verso la discesa che conduce all’attracco del nostro battello che ci riporterà, costeggiando la parte meridionale dell’Elba, fino al porto di Piombino. La malinconia e il dispiacere di lasciare un luogo così unico, che ci ha affascinato per i suoi contrasti tra pura bellezza e triste degrado, sono mitigati dall’idea della traversata di ritorno che, come per l’andata, saprà offrirci interessanti vedute delle coste elbane. Ammireremo gli angoli meno conosciuti della grande isola, nella calda luce che anticipa il tramonto, mentre scompigliati dalla brezza della sera, ci allontaniamo dall’affascinante Pianosa, con lo sguardo perduto nell’azzurro luccicante del mare che contrasta il verde delle colline dell’Elba.
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