C'era una volta un trenino

anna stefano paolo

17.8 km, 06:26:28

Coordinate punto di partenza: 43°21'38.04"N 10°48'45.02"E   google maps cane-libero estate-no
- Percorso il : 05/05/2016 - Tempo impiegato: 06:26:00 h - Tempo in movimento: 05:25:00 h
- Distanza percorsa: 18,00 km - Dislivello tot. In salita: 562 m - Pendenza: med. 5,6% max. 18,0%

Verificato il: 15-05-21

- Note: Niente da segnalare.
- Difficoltà : E
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DESCRIZIONElinea sep

Un lungo tragitto che nella prima parte ripercorre lo storico tracciato della vecchia ferrovia a cremagliera, che per quasi 60 anni, dall’inizio del 1900 ha collegato col famoso ‘trenino’, Saline alla città etrusca di Volterra.

Un’escursione priva di qualsiasi difficoltà che si snoda sui dolci pendii delle colline di creta che col variare delle stagioni si colorano di mille sfumature che caratterizzano da sempre il paesaggio volterrano.

Abbiamo scelto di provare il percorso in piena primavera, quando ad allietare il nostro cammino, sarà la costante presenza delle fioriture di molteplici specie, su tutte le acacie e le ginestre che renderanno l’intero tragitto piacevolmente profumato.

Per comodità abbiamo pensato di non compiere un anello completo, rinunciando ad un ultimo tratto altrimenti percorribile su asfalto.  Lasceremo perciò un’auto in località Scornello, poco meno di 1 km dopo l’abitato di Saline, in direzione Pomarance, mentre con un’altra auto ci dirigeremo al posteggio all’inizio del paese, proprio a ridosso della ferrovia.

Ci incamminiamo lungo la vecchia massicciata ferroviaria dove per circa 400 metri è ancora presente il binario e costeggeremo una serie di pollai, piccoli orti, capanni e baracche, da cui l’assordante abbaiare dei cani, ci accompagnerà per qualche centinaio di metri. Il cammino quasi totalmente pianeggiante fino ad ora, continua sul vecchio tracciato ferroviario, che ha mantenuto sia la dimensione che il pietrisco originale.

Pian piano la strada inizia a salire dolcemente, costantemente accompagnati  dalle fioriture delle acacie che con il loro  profumato richiamo attirano le api delle numerose arnie, che qualche apicoltore ha posizionato negli spazi adiacenti alla ferrovia.

Continuando a salire, si delinea davanti a noi l’inconfondibile possente struttura del Mastio di Volterra, mentre se ci voltiamo indietro, potremmo spaziare con lo sguardo su tutta la vallata del Cecina e le sue morbide colline.

Dopo aver camminato per circa km 1,700, sulla nostra sx, seminascosti dalla vegetazione noteremo i ruderi di un primo casello ferroviario, che conserva appena la struttura perimetrale. Poco dopo 1 km e mezzo, dal primo, in prossimità di un crocevia,  incontreremo un secondo casello, sempre invaso da rovi, acacie e  timide rose antiche, che una volta abbellivano le aiole adiacenti la costruzione. Da qui aveva inizio la tratta ancorata con la cremagliera.

Prima di proseguire ci fermeremo per le immancabili foto e per raccogliere qualche mazzolino di camomilla, rigogliosa lungo l’argine dei vicini campi; poi continueremo per altri 2 km, prima di incontrare il terzo casello, senza cambiare mai direzione. La salita diventerà pian piano più costante e più ripida e noteremo che in mezzo alla ghiaia della vecchia massicciata, compaiono ogni tanto, alcuni monconi ferrosi che ancoravano la cremagliera.  Passando da un viottolo, aggireremo l’arco di un piccolo ponte che sosteneva la strada ferrata, ma che alcuni vistosi cartelli, ora ne vietano l’attraversamento perché pericolante. Riguadagneremo di nuovo il vecchio tracciato ghiaioso, sempre sovrastati dalla mole del Mastio di Volterra, incorniciato dal verde dei campi e saliamo ancora ignorando i piccoli incroci. Ci manterremo sempre sul tracciato, che lambisce ora piccoli orticelli e oliveti e oltrepasseremo una grande casa colonica sulla nostra sx. Salendo ancora incroceremo una strada rurale, attraverseremo un ponte a tre arcate, fino a intravedere la sagoma della vecchia stazione. Abbandoniamo qui il percorso della ferrovia, perché sommerso dalla vegetazione, per seguire un breve e tortuoso viottolo che in pochi metri ci condurrà alle prime case della periferia di San Lazzero. Da qui proseguiremo lungo la via asfaltata, portandoci prima verso sx, poi verso dx in ripida salita,  che con ancora poche centinaia di metri ci condurrà alla strada regionale per Colle Val d’Elsa.

Volteremo a dx in prossimità di una scuola e benché costretti a percorrere un breve tratto della trafficata regionale, avremmo modo di ammirare il vasto panorama che si apre di fronte a noi, lasciando alle nostre spalle l’arco dei grandi ponti di regresso che conduceva il trenino al punto estremo della tratta.

Raggiunto l’imbocco della strada dello Zambra o di Scornello, inizierà la seconda parte del nostro percorso, che scendendo verso Saline, si snoderà attraverso una piacevole campagna tra calanchi, biancane e verdissime colline tondeggianti.

Camminando ora comodamente lungo la piccola strada asfaltata che costeggia poderi e casali ristrutturati, passeremo a margine di numerose olivete, dove le fioriture primaverili colorano e contrastano il verde diffuso in tutta vallata. Di fronte a noi la magnifica vista spazia fino ai fumi della Valle del Diavolo, mentre voltandoci indietro  non ci stancheremo di osservare la severa sagoma di Volterra e più in basso quello che rimane dei ponti e delle strutture ferroviarie. Camminando per circa km 3,200 dall’inizio della discesa, devieremo leggermente il nostro cammino a sx per curiosare tra i resti della grande colonia agricola (Tanzi) dell’ospedale psichiatrico volterrano.

L’intera zona che stiamo attraversando, fino agli anni 1970 era infatti di esclusivo utilizzo del manicomio. L’innovativa ‘ergoterapia’, che lo psichiatra Luigi Scabia sperimentava coi ricoverati, prevedeva che questi venissero curati anche con un costante impegno lavorativo, a seconda della gravità della patologia. All’interno dell’ospedale vi erano laboratori di ogni genere e nella zona che da San Lazzero, costeggia l’antica villa di Scornello, era sorta una  vera e propria azienda agricola, comprendente i fabbricati della Tignamica, il Caggio, con nuove costruzioni e tanti poderi già esistenti adattati  per ospitare gli ammalati i medici e tutto il personale necessario. Nella grande azienda oltre alla produzione agro-alimentare, i ricoverati si dedicavano all’allevamento di ogni tipo di bestiame, da stalla e da cortile.

La grande struttura a cui ci stiamo avvicinando è conosciuta popolarmente con il nome di ‘Tignamica’ e anche se in condizioni di fatiscente abbandono, conserva un inquietante e misterioso fascino. Data la precarietà degli edifici è sconsigliabilissimo addentrarci, ma sbirciando attraverso le aperture delle porte e delle finestre rotte, ci sembrerà di sentire voci provenire dai disegni che colorano le pareti e il fruscio del vento che smuove la polvere sulle suppellettili abbandonate.  Scattate le immancabili foto, riprendiamo di nuovo il nostro percorso tornando sui nostri passi o tagliando liberamente per il campo sottostante.

Da qui la strada non è più asfaltata, ma si presenta inghiaiata e un po’ sconnessa a causa dei recenti lavori del nuovo acquedotto.

Oltrepassati i ruderi di ‘Casa Gattera’ inizieremo a salire lungo i tornanti che portano verso la villa di Scornello, importante residenza secentesca degli Inghirami, nobile famiglia volterrana. Con una deviazione di circa 6/700 metri dedicheremo una breve visita alla villa per apprezzarne il fascino un po’ decadente delle sue strutture esterne. (43°21’28,6’’N  10°51’07,4’’E)

Nel ‘Dizionario Geografico, Fisico, Storico della Toscana’, Emanuele Repetti descrive la villa adagiata su un piccolo promontorio di un poggio cretoso, cosparso di filoni di gesso, sotto i quali scorre l’acqua salata delle Moje vecchie di San Giovanni.

 La villa, su una carta del 1700 appare sovrastata da una torre a tre piani con tetto a capanna e attorno si era costituito in senso longitudinale, un borgo denominato ‘Citernino’. Dal 1777 al 1794 la proprietà comprendeva 9 poderi, passati a 30 negli anni intorno al 1940. Ancora oggi, la villa di Scornello, in parte attrezzata come agriturismo, appartiene agli eredi della famiglia Inghirami.

Torniamo di nuovo sulla nostra strada che si snoda sotto due file di grandi cipressi, per percorrere il tratto finale che ci riporterà all’auto. Qui il fondo stradale è costituito da un selciato abbastanza ampio, ancora in buono stato di conservazione e questo ci fa notare in maniera evidente, la tecnica, ma soprattutto la cura e la meticolosità, che veniva riservata una volta alla costruzione delle strade, anche se di campagna.     

Rimangono ora circa km 3 alla fine del nostro giro che continueremo a percorrere sulla medesima strada, accompagnati nell’ultimo tratto da evidenti tracce dell’attività industriale del sale, come resti di pozzetti e di tubazioni. Giunti in prossimità di un vecchio podere, vicino al quale abbiamo parcheggiato l’auto, possiamo scorgere in direzione di Saline la zona delle ‘Moje Vecchie’ che biancheggiano nel paesaggio fin dal tempo degli Etruschi.

Non ci resta che riprendere l’auto e raggiungere l’abitato di Saline da cui ha avuto inizio questa nostra  escursione.

Più che una lunga passeggiata, è stato come ripercorrere un viaggio attraverso i particolari di una storia recente un po’ dimenticata, che dall’inizio del 1900 per circa 70 anni, ha caratterizzato la vita e l’economia di una grande zona, geograficamente periferica e di un’intera città:   Volterra, conosciuta per la sua storia fatta dagli Etruschi e dai Vescovi, ma anche dal suo alabastro, dal suo manicomio e dal suo sbuffante trenino.

 

APPROFONDIMENTI:  "Il Manicomio" - "Il Trenino Saline-Volterra"